Partecipare al Bear Wool Volley è stata un opportunità per tutti, per la squadra, lo staff tecnico e anche per noi che abbiamo potuto toccare con mano e osservare le nostre ragazze da una posizione privilegiata, interagendo con loro durante le fasi del torneo, avendo la possibilità di far parte, chiamiamolo così, di uno spogliatoio allargato o meglio di uno spogliatoio in tribuna.
L’opportunità di cogliere le problematiche e le componenti che fanno oscillare il rendimento di un team sportivo, e in modo marginale di poter lavorare in maniera costruttiva alla loro crescita emozionale e di tenuta mentale, l’unico settore in cui potremmo collaborare con chi guida questa squadra, non certo sulla questione tecnica che è decisamente in buone mani.
Personalmente condivido il pensiero che considera lo sport un investimento sul futuro, capace di farci fare un balzo personale e culturale in avanti.
Lo sport è uno strumento privilegiato per farci sognare, tant’è che la magnitudine di un campione è proporzionale alla sua capacità di emozionarsi e farci sognare. Così noi ci approcciamo allo sport, al gesto atletico, alle partite delle nostre figlie.
Quando giocano bene dovremmo osservarci per un istante: abbiamo la stessa luce negli occhi di chi si approccia alla cappella sistina (perdonatemi il paragone), a chi guarda un qualsiasi capolavoro artistico; perché stiamo guardando un capolavoro attraverso il gesto sportivo, che parla un linguaggio universale.
Molti pensano che ci siano un’infinità di cose che si possono comprare o costruire con il denaro, non nella pratica sportiva (almeno così sono stato educato a pensare e interagire). In questo contesto c’è un muscolo che è necessario per riuscire a realizzarsi, un muscolo che si può allenare, che allena la passione con cui tutti noi facciamo le cose.
Ecco l’opportunità che abbiamo a portata di mano, allenare questo muscolo: il cuore delle nostre figlie.
Se ci fosse una formula per l’eccellenza umana in ogni settore compreso quello sportivo credo potrebbe essere una formula matematica di questo tipo:
le capacità tecniche (che sono necessarie ma non sufficienti), vanno moltiplicate per delle capacità emozionali (che sono allenabili appunto ) e tutto va rapportato ad un metodo, ed essendo una divisione, il metodo è il divisore di questa formula. Più il metodo è semplice, più tende a uno, più il risultato di questa formula è grande.
Il metodo si traduce secondo me in una sola parola: atteggiamento!
Non sbaglio nell’asserire che questo sia stato l’unico problema, circoscritto ad un solo momento/partita, dell’esperienza biellese; puntualmente sottolineato e apostrofato, nelle giuste e dure maniere nello spogliatoio; e che ha dato a noi genitori presenti, la possibilità di essere, nello spazio tra una sconfitta e una nuova affermazione (semplicemente perché le ragazze non lo hanno visto come un’invasione del loro mondo) loro mediatori, confidenti e mental coach; raccordando la tensione e la pressione del risultato per la prima volta quest’anno, alla loro voglia di dimostrarsi squadra attraverso la conquista di una fantastica affermazione: 9°posto assoluto.
Non è facile per me, confrontarmi sportivamente con l’atleta Emma, ma credo questo accada anche a tutti voi; ecco perché Biella è stato un modo incredibile di entrare in connessione, è stato essere squadra noi genitori (ognuno con ruoli diversi ma fondamentali per tutti) prima che loro in campo; perché tra gli sguardi dalla panchina a turno vedevo, ragazze divertite e compiaciute del mondo che gli gira intorno, anche se un po’ se ne vergognano.
Sogno per le nostre figlie lo sport come investimento, strumento che le possa mettere in moto e farle camminare.
Forse sarà un’utopia ma se così fosse mi piacerebbe raccontarlo con le parole di Eduardo Galeano, grande narratore sudamericano, che ha scritto libri bellissimi di sport; diceva: “l’utopia è come l’orizzonte. Tu cerchi di avvicinarti di tre passi e l’orizzonte si allontana di tre passi, ne fai trenta e si allontana di trenta”
L’orizzonte serve proprio a quello. A ricordarci che dobbiamo continuare a camminare…….
A supporto della tesi, cito una parte di una lettera di Mauro Berrutto, ex allenatore della nazionale di pallavolo italiana, che mi piacerebbe le nostre ragazze potessero leggere.
“Prima di tutto questa cosa del passaggio…In un mondo dove il campione è colui che risolve le partite da solo, la pallavolo, cosa si inventa? Se uno ferma la palla o cerca di controllarla toccandola due volte consecutivamente, l’arbitro fischia il fallo e gli avversari fanno il punto. Diabolico ed antistorico: il passaggio come gesto obbligatorio per regolamento in un mondo che insegna a tenersi strette le proprie cose, i propri privilegi, i propri sogni, i propri obiettivi. Poi quella antipatica necessità di muoversi in tanti in uno spazio molto piccolo. Anzi lo spazio più piccolo di tutti gli sport di squadra! 81 metri quadrati appena…, a dover muoversi in maniera dannatamente sincronica, rispettando ruoli precisi, addirittura (orrore) scambiandosi ‘cinque’ in continuazione.
Non c’è nessuno che può schiacciare se non c’è un altro che alza, nessuno che può alzare se non c’è un altro che ha ricevuto la battuta avversaria. Una fastidiosa interdipendenza che tanto è fondamentale per lo sviluppo del gioco.
Infine ci si mette anche il punteggio e il suo continuo riazzeramento alla fine di ogni set. Ovvero, pensateci: hai fatto tutto benissimo e hai vinto il primo set? Devi ricominciare da capo nel secondo. Devi ritrovare energia, motivazioni, qualità tecniche e morali. Quello che hai fatto prima (anche se era perfetto) non basta più, devi rimetterlo in gioco.
Viceversa, hai perso il set precedente? Hai una nuova oggettiva opportunità di ricominciare da capo. Assolutamente inaccettabile per noi adulti che lottiamo per tutta la vita per costruire la nostra zona di comfort dalla quale, una volta che ci caschiamo dentro, guai al mondo di pensare di uscirne. Insomma questa pallavolo dove la squadra conta cento volte più del singolo, dove i propri sogni individuali non possono che essere realizzati attraverso la squadra, dove sei chiamato a rimettere in gioco sempre ed inevitabilmente quello che hai fatto, diciamocelo chiaramente, è uno sport da sovversivi! Potrebbe far crescere migliaia di ragazzi e ragazze che credono nella forza e nella bellezza della squadra, del collettivo e della comunità.”
Grazie a tutti! E’ stato meraviglioso e divertente!!
Luigi Batzella